Violenza di genere, quale il ruolo del mondo digitale?
Il 25 novembre ricorre la giornata mondiale contro la violenza sulle Donne. Il tema della violenza deve però essere affrontato a 360° ed è quindi doveroso, soprattutto vista la crescita esponenziale degli utenti attivi nel mondo digitale di questi ultimi dieci anni, interrogarsi sul ruolo che questo mondo virtuale esercita nella battaglia comune contro la violenza di genere. Se le Donne risultano seconde nei ruoli apicali, quasi inesistenti nel linguaggio di genere, sempre meno occupate e con salari e redditi più bassi, in un campo vincono su tutti: nell’odio online. Le donne sono ancora le più odiate. Anche nel 2021 gli insulti “virtuali” si concentrano contro di loro e, in particolar modo, contro le lavoratrici.
Dall’Italia all’Europa cresce la violenza informatica contro le donne
Un dato confermato dalla nuova mappa dell’intolleranza 5 ideata da Vox- Osservatorio Italiano sui diritti. Vox rileva come un odiatore via social su due se la prende con le donne. Gli insulti piovono da nord a sud, da est a ovest. I tweet negativi sono più di quelli positivi. E accanto al body shaming (il comportamento posto in essere da chi deride o offende una persona per il suo aspetto fisico) fa la sua comparsa, nel lessico intollerante, la rabbia contro le donne che lavorano, giudicate incompetenti, inutili, incapaci. Per rilevare l’entità del fenomeno dell’hate speech (espressione di odio rivolta tramite mezzi di comunicazione, contro individui o intere fasce di popolazione), il rapporto di VOX ha mappato e geolocalizzato oltre 1.304.537 tweet contenenti parole considerate sensibili. L’hate speech si è concentrato soprattutto contro alcune categorie, come le donne, contro cui arrivano insulti da tutte le parti d’Italia ma la violenza informatica di genere cresce in tutta Europa e lo dimostra uno studio condotto dall’Unità Valore Aggiunto Europeo (Eava) del Servizio Ricerca del Parlamento europeo. Lo studio stima che dal 4 al 7 per cento delle donne nei 27 Paesi dell’Unione Europea ha subito molestie online negli ultimi 12 mesi, mentre tra l’1 e il 3 per cento ha subito stalking virtuale. Una violenza che genera nelle vittime ansia e depressione con conseguenze sociali ed economiche nella realtà quotidiana come la paura di recarsi al lavoro, una minore produttività o il ritiro dal dibattito pubblico. Violenza virtuale che produce conseguenze nella vita reale.
La pandemia ha aumentato del 40% i discorsi d’odio
Il tema dell’odio però non può essere affrontato solo tramite l’analisi di precisi cluster, perché se è vero che le Donne pagano ancora la presenza di stereotipi e antichi tabù culturali altrettanto vero è che la violenza deve essere combattuta a livello globale. I discorsi d’odio in rete, nel periodo pandemico, sono aumentati del 40%, un dato evidenziato da “il Barometro dell’odio”. Il report a cura di Amnesty International, è stato redatto monitorando due social media, Facebook e Twitter, per un periodo di 16 settimane, dal 15 giugno al 30 settembre 2020, seguendo due binari: quello relativo ai post e tweet pubblicati su pagine e profili di esponenti del mondo della politica, dei sindacati, dell’informazione, di enti legati al welfare; l’altro riguardante i relativi commenti degli utenti. Oltre 22milioni i contenuti scaricati e più di 36mila quelli valutati, dall’analisi è emerso che: i commenti sono nel 10,5% dei casi offensivi e/o discriminatori e l’1,2% di questi è hate speech (+0,5% rispetto alle scorse edizioni). Le principali sfere dell’odio individuate da Amnesty sono: islamofobia (46%), sessismo (31,3%), antiziganismo (23,1%), antisemitismo (20,1%), razzismo (7,9%). Il dato allarmante è che, rispetto agli anni passati, si offende di meno ma si incita di più all’odio, un odio virtuale che può tradursi in violenza reale.
Una consapevolezza individuale per fermare l’odio online
Internet favorisce la libertà di espressione, ma può essere impiegato anche come amplificatore dei peggiori comportamenti e quando dal desiderio del male altrui si passa all’azione “subentrano le responsabilità”. Per questo motivo la commissione Europea ha redatto il Digital services Act, una proposta di legge sui servizi digitali che interviene anche sui diritti degli utenti. Trasparenza degli algoritmi, rimozione dei contenuti e una maggiore incisività da parte dei moderatori sono tra i punti cardine del disegno legislativo. Le grandi piattaforme che gestiscono la comunicazione digitale saranno inoltre chiamate a mettere in campo un percorso di co-regolamentazione che favorisca un dibattito informato e rispettoso che tuteli la libertà di espressione. Un percorso non semplice perché, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, deve trovare un bilanciamento con il diritto alla privacy, il diritto al rispetto della libertà di pensiero, coscienza e religione, il diritto di proprietà e libertà di mercato e infine il diritto di difesa contro le violenze. Il percorso è stato tracciato ma richiederà molto tempo e per questo motivo, è necessario che dagli enti pubblici, alle associazioni, alle istituzioni scolastiche si metta in campo un percorso di educazione digitale che lavori alla costruzione di una consapevolezza individuale. Affinché questo avvenga sarà fondamentale il buon esempio da parte di coloro i quali hanno raggiunto posizioni apicali nel mondo della scienza, della politica, dell’arte o dell’economia: senso del dovere, ragionevolezza e conoscenza dovranno essere le Key word per fermare il fenomeno della violenza digitale. L’odio online è un problema di tutta la società contemporanea non solo delle Donne e come scriveva Simone De Beauvoir “Per parlare di se, si deve parlare di tutto il resto.”
Da “News dal mondo Digital” di Genny Perron
Articolo pubblicato su Il Corriere della Valle in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle Donne