“Assistono a qualcosa che coinvolge biologia, antropologia, cosmologia, metafisica, insomma tutto il mondo della scienza e dell’ignoto”. Il desiderio di scoprire altre vite oltre la Terra è insito nella natura umana come dimostra la vasta letteratura di fantascienza. Nulla di nuovo, si direbbe, leggendo le note di questo “Elbrus” scritto a quattro mani da Giuseppe Di Clemente e Marco Capocasa. In realtà il testo rappresenta sicuramente un buon esempio di narrativa ambientata nel futuro perché contiene una serie di elementi che richiamano la coscienza etica di ciascuno. Già perché si parla con equilibrio e coscienza di manipolazione genetica e biomedicina, argomenti che suscitano dibattito collettivo. Specialmente se assumono le sembianze di cinica sperimentazione che non si pone limiti etici e morali. Come la fecondazione modificata di madri surrogate che ha come risultato l’inganno delle puerpere nel momento in cui il frutto del loro ventre viene forzatamente avviato ad un’esistenza ibrida e disagiata. Una teoria di evoluzione convergente posta in essere per creare cloni umani in grado colonizzare altri pianeti, più salubri di una Terra alle prese con un irreversibile riscaldamento globale che mette a rischio l’esistenza umana. Uno scenario inquietante ma non del tutto impossibile che gli autori collocano in un apparentemente lontano 22° secolo. Ma la coscienza non si può eludere più di tanto e, prima o poi, chiede il conto a chi si è reso protagonista di un progetto folle quanto immorale. L’energia dell’universo sarà la chiave per concretizzare il miracolo di un contatto al di là del tempo e dello spazio tra uomo e specie aliena, di un ponte tra civiltà diverse ma con emozioni e sentimenti comuni. Accomunati anche dall’essere esploratori dello spazio per avere possibilità di un futuro magari sorprendente. “La somiglianza genetica ha permesso all’Uomo di trovare una strada per migliorare se stesso e ha condotto a profonde riflessioni sul piano esistenziale”.